Dalla coppia alla famiglia
Paolo Milanesi*
Dalla coppia alla famiglia
Il duale quale ambito specie-specifico del divenire dell’io-soggetto nel suo contesto di vita
L’articolo della dottoressa Fivaz-Depeursinge e dei colleghi LavanchyScaiola e Favez descrive il Lossanne Trilogue Play (LTP) o Gioco Triadico di Losanna, un paradigma elaborato nell’arco di alcuni decenni e progettato per studiare la triade nelle sue interazioni e in ciascuno dei suoi cambiamenti, permettendo anche un’osservazione longitudinale.
L’ingegnosità del paradigma risiede nell’aver trasferito alla famiglia, quindi a tre soggetti, una metodologia di ricerca del tutto simile a quella classica dell’Infant Research sullo studio dell’interazione madre bambino.
Attraverso le video registrazioni di micro sequenze interattive viene mostrata la capacità del neonato di impegnarsi in interazioni triangolari nell’ambito della famiglia dimostrando l’acceso del piccolo dell’uomo ad un’ “intersoggettività triangolare” fin dai primi mesi di vita. L’analisi del compito richiesto durante l’LTP dimostra chiaramente che i tre partner devono “lavorare insieme” continuamente, come una squadra, se vogliono raggiungere lo scopo del gioco a tre. Si può così notare la modalità con cui i partner collaborano tra loro e se i genitori guidano il bambino facilitandone adeguatamente la partecipazione a seconda dello stadio di sviluppo e dello stato emotivo in cui il piccolo si trova in quel momento. Sull’altro versante si evidenzia come il bambino risponde alle sollecitazioni dei genitori e, quindi, come a sua volta li influenza.
Le dottoresse Fivaz e Corboz-Warnery sostengono che osservando tutto ciò, sia possibile rilevare la qualità delle interazioni della famiglia e definirne i pattern interattivi che, nel tempo, si cristallizzano in formazioni durevoli: le “alleanze famigliari” (Fivaz, 1999).
Sono state così ipotizzare quattro possibili tipi di alleanze familiari.
- cooperativa: la famiglia gioca insieme in maniera fluida
- in tensione: la famiglia gioca insieme e con successo, ma non in modo fluido perché esistono dei contrasti tra i rispettivi diversi stili di approccio al figlio. I due genitori riescono a essere più efficaci insieme mentre separatamente risultano troppo ansiosi o troppo stimolanti.
- collusiva: l’interazione è disturbata perchè i genitori interferiscono l’uno con l’altro. Il flusso interattivo è frammentato, e ciò nonostante sia chiaro l’intento dei genitori di cooperare.
- disturbata: l’interazione appare ambigua e inefficace. I tre partner manifestano contemporaneamente segnali contrapposti di coinvolgimento e disimpegno, con il rischio di abbandonare il gioco.
A questo punto mi pare necessario sollevare due questioni di natura teorico epistemica che attraversano a mio avviso, in modo più o meno consapevole, l’operare di tutti gli psicoanalisti che si sono aperti alle acquisizioni dell’Infant Research così come a quelle dell’LTPG.
L’essenza di queste acquisizioni, e vengo alla prima questione, afferma che gli eventi interpersonali e intersoggettivi, sono espressi in comportamenti d’interazione fisica: orientamento e distanza tra i corpi, direzione degli sguardi, valenza delle espressioni facciali affettive ecc. e sia i neonati che i genitori comunicano utilizzando questo stesso “linguaggio dell’azione”: comunicano per via procedurale (Lavelli, 2007).
Le ricerche dell’LTPG insieme a quelle di altri autori (Beebe e Lachmann, 2002; Lichtenberg, 2008; Knoblauch, 2000; Stern, 1998) sono convergenti nel sostenere che questo linguaggio dell’azione, basato sulla memoria implicita, perduri tutta la vita e costituisca l’interfaccia tra ciò che abitualmente chiamiamo “intrapsichico, interazionale e intergenerazionale”.
Appaiono evidenti due livelli: uno fisico caratterizzato da elementi oggettivi su piccola scala di realtà, ad esempio i cambiamenti dello sguardo, gli avvicinamenti, gli allontanamenti, etc.; l’altro caratterizzato da motivazioni, conflitti, desideri, dipendenza, attaccamento, etc., in una parola da significati simbolici. Come è possibile integrare questi due livelli? Penso sia giunto il momento di andare oltre questa visione dicotomizzante considerando l’essere umano (Io-soggetto) come un sistema complesso (Minolli, 2009).
L’organismo umano è composto da più parti: dalla memoria alla riflessività, dal fisico alla percezione, dalla sensazione all’implicito, ecc. Purtroppo siamo abituati a considerare queste parti isolate o a se stanti o con uno sviluppo proprio invece queste parti, che esistono solo dal punto di vista classificatorio, sono un tutt’uno con l’organismo (Minolli, 2009). Pensare all’Io-soggetto come sistema è pensare a tutti questi elementi e a moltissimi altri ancora sconosciuti, uniti da un certo tipo di regolare interazione e di interdipendenza o a un gruppo di unità diverse rapportate tra loro in modo tale da costituire un’unità integrale (Sander, 1995).
Non si tratta di un semplice accostamento e neppure di una somma aritmetica: l’organizzazione è risultato di una funzionalità dell’insieme, finalizzata, nei sistemi viventi, al mantenimento della vita. É questa funzionalità delle parti che viene a costituire la singola organizzazione e quindi l’Io-soggetto e ciò che chiamiamo “significato” è espressione dello “stato” organizzativo in cui il sistema si trova. Connotare in senso positivo o negativo le alleanze famigliari classificate in precedenza in base all’apparente esito felice delle interazioni della triade, non mi pare corrispondente alla complessità di ciò che accade nella realtà; considerare invece tale esito, sempre e comunque, come risultato organizzativo finalizzato al mantenimento della vita in quel contesto dato, apre a possibili letture meno vincolate ai contenuti e più aperte all’uso che di quei contenuti l’Io-soggetto può fare. Tutto ciò rimanda alla seconda questione e cioè al rapporto tra l’organismo umano e l’ambiente. Le parole di Susan Oyama mi sembrano esprimere efficacemente e in modo illuminante il rapporto tra individuo e ambiente andando oltre la dicotomia tra auto ed eco organizzazione: “non (…) tutto interagisce con tutto, né tutto è sempre soggetto ad alterazione(…) in ogni momento le influenze e i vincoli esercitati sul sistema sono sia funzione degli stimoli presenti che il risultato di stimoli, risposte e integrazioni passate, e che il significato di un componente non è mai dato a priori ma è determinato contingentemente nello svolgersi stesso delle interazioni;(…) sono gli organismi a organizzare e costruire l’ambiente circostante così come sono da questo ‘organizzati’ e ‘costruiti’” (Oyama, 1998).
Diadico o triadico?
Storicamente l’ambiente è sempre stata considerata la madre. L’articolo della Fivaz ci dice che il bambino ha fin da subito competenze triadiche e propone una sorta di “psicologia triadica” o “multi-personale” che ci porta a mettere in discussione le storiche nozioni di intersoggettività. Più in specifico ipotizza che il bambino, discriminando l’agency del padre da quella dalla madre, integri le informazioni essenziali concernenti il rapporto tra i suoi genitori quando sono insieme a lui, percependolo come una gestalt attraverso gli affetti esperiti. Non mi pare sostenibile la possibilità di essere in rapporto simultaneamente con più di una persona mentre mi pare verosimile l’eventualità di essere in rapporto ad un insieme colto come unità gestaltica. Solo in questo modo è possibile secondo me immaginare tre persone che condividono la stessa esperienza mentale nello stesso momento. Forse possiamo risolvere la questione partendo dal punto di vista dell’Io-soggetto senza correre il rischio di perdere il soggetto stesso.
E’ un punto di vista teorico: l’Io-soggetto retto dal duale nel suo essere e divenire. E’ un punto di vista che ha l’obiettivo di considerare l’Iosoggetto nel rapporto che inevitabilmente ha con il mondo che lo circonda. Che siano i genitori o l’ambiente culturale o il contesto sociale o gli altri pochi o tanti, se vogliamo mettere in luce l’Io-soggetto, essi non sono che “l’altro” e quindi per l’Io-soggetto il “duale”. Chiaramente ci sono anche altri punti di vista, quello della Fivaz ne è un esempio, che considerano invece le relazioni o i legami in quanto tali. Se osserviamo le cose dal punto di vista del singolo, ci rendiamo conto che interrogarci sull’alternativa tra duale, triadico o multi personale, rappresenta un falso problema indotto dalla sovrapposizione concettuale tra la concretezza materiale dei soggetti che vediamo interagire e la modalità specie specifica con cui l’Io-soggetto è in rapporto al suo mondo. In altre parole l’esperienza fenomenica è sempre e solo a carico di ogni singolo individuo e allo stesso tempo dobbiamo escludere l’esistenza di realtà psichiche diverse da quella che sperimenta l’Io-soggetto, dobbiamo cioè evitare di reificare il sistema attribuendo uno statuto di realtà psichica alla famiglia, al gruppo o ad altri più numerosi aggregati di individui. L’unica realtà è quella che sperimenta l’Iosoggetto. Non importa se il bambino interagisce con uno, due, tre o più individui contemporaneamente, non è questo il punto: i poli dell’interazione sono e saranno sempre due. E’ teorizzabile un ambito specie-specifico all’interno del quale l’Io-soggetto diviene, cioè evolve. L’ambito a cui mi riferisco è l’interazione circolare e ricorsiva (Morin, 2007) che prevede due poli della circolarità e della ricorsività, è perciò un ambito “duale”. Coerentemente con “l’epistemologia della complessa” (Morin, 2007), il divenire nel duale dell’Io-soggetto può venire concepito anche internamente a contesti più ampi come ad esempio la famiglia, i gruppi e le organizzazioni sociali. In altre parole: se metaforizziamo l’Io-soggetto (Minolli, 2009) come sistema complesso, possiamo allo stesso modo metaforizzare (senza reificare) come sistemi complessi gli aggregati sociali che comprendono più di due individui e ciò nonostante senza perdere la prerogativa del duale quale unico ambito all’interno del quale il neonato, il fanciullo, l’adolescente e l’uomo adulto divengono fino alla vecchiaia. Nel costituirsi di “sistemi” molto grandi, pur cambiando la qualità del duale, questa rimane l’ambito del divenire dell’Io-soggetto. Il duale va cioè concepito come una doppia polarità dalla quale scaturisce un’esperienza fenomenica che può essere solo a carico del singolo. Quest’ultimo può avere come polo di riferimento nel duale, anche un aggregato di più soggetti e rapportarsi a questo percependolo come un’unità gestaltica così come suggerisce la Fivaz nel suo articolo ma quell’esperienza che vivrà e lo stato in cui si troverà potrà essere solo suo ancorché sia proprio degli altri. Non può cioè essere fatto discendere e dipendere da una realtà che assurge a dimensione psichica al di fuori dell’Io-soggetto. Per ognuno degli individui implicati avverrà un processo del tutto simile e parallelo. L’ambiente è normalmente multiforme e variegato, ma il rapporto con l’Io-soggetto è sempre duale nella misura in cui l’ambiente diventa unificato nella percezione gestaltica del soggetto. Questo vuol dire che l’Io-soggetto può entrare in rapporto con il gruppale o il multiforme, ma sempre e soltanto attraverso una polarità che riduce gli elementi a due: io-altro/i.
Inscindibilità della coppia coniugale/genitoriale
Possiamo quindi affermare, sostenuti anche dal lavoro dell’LTPG, che il bambino, fin dai primi mesi di vita è in contatto con la qualità del rapporto dei suoi genitori. L’ipotesi, sostenuta da Fivaz e collaboratori (Fivaz, 2007), è che lo schema d’interazione che si crea rifletta le storie delle passate interazioni dei genitori. Ritengo fondamentale approfondire questo aspetto del discorso per meglio comprendere le dinamiche famigliari in ordine a ciò che definisco il “passaggio dalla coppia coniugale alla coppia genitoriale”.
Quando nasce un figlio accade qualcosa di straordinario, un cambiamento epocale nella vita della coppia e dei singoli genitori. Così come l’innamoramento, caratterizzato dal reciproco legame in una dimensione di “non tempo” (Minolli, Coin, 2007) sancisce la nascita della coppia, l’arrivo del figlio sancisce la nascita della famiglia. Assistiamo al passaggio dalla coppia alla famiglia e con esso dalla coppia coniugale alla coppia genitoriale. Così come l’Io-soggetto continua ad esistere nel duale di coppia quando la coppia si fonda, così la coppia continua ad esistere quando si fonda la famiglia e la dinamica della coppia stessa, come dirò più avanti, continua ad esercitare un forte influsso sulla costituzione della famiglia. La coppia diventa coppia genitoriale non per un processo interno alla coppia stessa ma solo in virtù della nascita del bambino. Un figlio, che sia voluto e quindi cercato o che sia un incidente di percorso, necessariamente sposta il duale di coppia a un duale genitoriale cioè di entrambi i partner verso il figlio. Uno spostamento che è anche funzione di quanto è stato o non è stato elaborato nel duale di coppia ma allo stesso tempo è espressione di un tipico e originale investimento del genitore sul figlio (per investimento intendo l’espressione profonda di sé per come si è configurati nel momento dato attraverso l’altro quale oggetto di investimento …nulla a che fare con l’investimento pulsionale di matrice Freudiana). Questa originalità è legata alla progettualità della coppia ma soprattutto al bisogno di generatività. E’ probabilmente un desiderio naturale o normale per l’essere umano, legato forse, in senso evoluzionistico, alla continuità della specie. Non è però questo desiderio che inizialmente viene a essere in primo piano, non fosse altro per il cambiamento di significato che ha avuto la sessualità negli ultimi decenni: da momento di accoppiamento finalizzato alla procreazione a espressione di contatto emotivo nel duale amoroso. Ciò che viene ad essere predominante nell’essere umano è l’investimento che i genitori fanno sulla loro prole in ordine ad uno spostamento dal duale di coppia amoroso a quello filiale, un investimento che è dipendente dalla configurazione specifica della coppia nel momento del concepimento del figlio. Cercando di vedere le cose dal punto di vista del neonato dobbiamo sottolineare che il suo ambiente è, inizialmente, la coppia dei genitori e forse è possibile sostenere, sulla base della felice intuizione di Michele Minolli, che il bambino “sia l’altro fatto proprio”, sia cioè il rapporto della coppia genitoriale. Inoltre egli vive in un contesto geografico, culturale, sociale, di cui i genitori sono senz’altro portatori. Quindi il suo stato, eventualmente la sofferenza o anche il sintomo, non sono solo suoi ma rappresentano la sua soluzione nel contesto in cui vive. Non so quanto ipotizzare un nesso causale diretto tra la qualità del duale di coppia e la configurazione che va assumendo il bambino piuttosto che evidenziare l’apporto attivo del neonato che fa suo il mondo dei genitori in modo singolare secondo la propria agency. Mi preme solo evidenziare l’inscindibilità tra coppia coniugale e coppia genitoriale che possiamo tenere distinte solo in termini concettuali o didattici. Il neonato costituisce l’elemento più debole nella triade ed é probabile, direi quasi inevitabile, che assorba molti dei problemi non risolti della coppia. Il bambino fa suo il modo interattivo dei genitori che si fonda sulla reciproca funzionalità di coppia (Minolli, Coin, 2007) perché questa esprime l’essenza più profonda del modo individuale dei due partner di essere con l’altro e dal bambino viene percepita proprio in questi termini e quindi come terreno privilegiato per sentirsi in rapporto a loro. Il neonato dunque respira nel solco del rapporto di coppia seppur individualmente con la madre o con il padre e ogni genitore si rapporta al figlio in quanto membro della coppia. In questo senso possiamo affermare che “i figli sono lo specchio dei genitori”. Dovrebbe essere compito di questi ultimi distinguere i due ruoli di madre e padre da quelli di moglie e marito. Più i partner sono capaci di riconoscere i propri impliciti nel legame con l’altro, sono cioé abituati ad elaborare il proprio divenire nel duale, più saranno capaci di condividere l’investimento sul figlio mantenendolo “pulito” cioé evitando di spostare su di esso le problematiche non risolte (non colte) interne al rapporto di coppia. Quindi alla nascita del figlio o la coppia è abituata a gestire il proprio duale e il figlio partecipa di questo atteggiamento interno alla coppia (costruttivo, spesso doloroso ma arricchente per i singoli partner che divengono nel tempo) oppure il figlio diverrà oggetto di investimento alternativo; nel primo caso l’investimento sul figlio sarà più “pulito” cioé sarà genitoriale in senso stretto, caratterizzato dal senso di generatività e certamente condiviso con il compagno-genitore. Dobbiamo quindi ipotizzare e sostenere l’esistenza di un tipico investimento del genitore sul figlio, che attua un “duale amoroso filiale”. Tra il genitore e il bambino c’è anche un reciproco investimento che è diverso dall’investimento della sola coppia genitoriale. Esso immette nella realtà del proprio divenire, qualcosa di nuovo che spesso è soffocato o nascosto dietro alle dinamiche del duale amoroso di coppia e con esso si intreccia inestricabilmente ma può venire alla luce, soprattutto quando la coppia utilizza il proprio duale per la reciproca crescita evolutiva e il figlio può venire investito come individuo altro da sè. La qualità dell’investimento genitore-figlio si connota come “investimento generativo” (“oltre me e oltre il mio tempo”) che quasi inevitabilmente si traduce nel desiderio di vedere realizzato nel figlio ciò che è mancato al genitore: “tu sarai ciò che io non sono stato e farai ciò che io non ho fatto”.
Nell’innamoramento che fonda la coppia tra adulti, il reciproco investimento é basato sul “non tempo” (per sempre, fin che morte non ci separi); nell’innamoramento genitore/figlio, l’investimento del genitore è basato “sull’oltre il tempo” (per sempre anche dopo la morte). L’investimento sul figlio è un’illusione se la coppia genitoriale si limita a confinare nel figlio un proprio progetto in cui il figlio stesso è “concepito” come proprietà e come depositario delle aspettative dei genitori. La coppia si deve occupare della propria funzionalità in modo che ogni Io-soggetto della coppia giunga a vivere uno stato che può essere espresso con: “Io sono io e ti amo per quello che sei e non per quello che confermi a me e di me”. Questo permette una maggior nitidezza e differenziazione degli investimenti incrociati interni alla famiglia portando in risalto la differenza tra la simmetria della relazione nel duale amoroso di coppia e la “asimmetria” del duale amoroso figliale. La crisi tra genitori e figli ad esempio, nasce quando i figli si rifiutano di essere come i genitori li vorrebbero e il figlio non corrisponde più al progetto della coppia ma preme per poter andare sulla sua strada. La coppia può accettare questo cogliendo la bellezza della diversità del proprio figlio e riportando al suo interno ciò che le pertiene.
Possiamo vedere il processo del divenire che parte dall’innamoramento nella coppia e che poi attraversa altri momenti in cui l’investimento e la progettualità vengono continuamente elaborati nel tentativo di “amarsi per quello che si è”. Il punto centrale é che sempre, questi investimenti, sono porte di accesso al divenire dell’Io-soggetto.
Alleanze familiari come investimenti sul figlio da parte della coppia
Alla luce di quanto appena esposto riguardo la dinamica della coppia coniugale/genitoriale, possiamo riconsiderare le alleanze famigliari descritte da Fivaz e Corboz-Warnery (1999). Intendo cioè sostenere che le alleanze famigliari sono funzione dell’intreccio dei reciproci e incrociati investimenti duali degli Io-soggetti interni alla famiglia (più o meno allargata).
Famiglia, in questo senso, sarebbe l’Intreccio di investimenti nel duale, diversi ma tra loro collegati. Tali investimenti possono avvenire tra singoli Io-soggetti o tra un Io-soggetto e la sua percezione della gestalt di un insieme di più individui. Appare ovvio come tali investimenti incrociati possano essere molti, mi soffermerò in questa sede sull’analisi degli investimenti della coppia verso l’Io-soggetto bambino. Per quanto riguarda la coppia dobbiamo pensare innanzitutto a due fattori che incidono sull’investimento nei confronti del figlio: il primo è che il figlio è piccolo e come già detto costituisce l’anello debole e quindi è solitamente considerato “proprietà” da parte dei genitori. Questa dinamica favorisce senz’altro lo spostamento sul figlio delle personali aspettative dei genitori, anzi direi che ciò è intrinseco al legame genitore figlio, soprattutto nella fase iniziale. Il secondo fattore è relativo al fatto che il figlio sia maschio o femmina e se primogenito o venga dopo. Solo una coppia che ha raggiunto o tenta di raggiungere un’intesa tra partner basata sul rispetto della diversità riesce ad accogliere il figlio come Io-soggetto a se stante e autonomo e ad attuare un investimento basato sulla generatività quale fondamento del duale amoroso figliale, favorendo il crescere del figlio e instaurando con lui un rapporto di ammissibilità del proprio modo di essere e non di genitore perfetto. Non esistono genitori perfetti, la madre perfetta è quella che coglie come è fatta lei e lo riconosce al figlio portando questa consapevolezza per via implicita nel rapporto con il figlio stesso (duale d’amore filiale). Ciò detto possiamo ipotizzare alcuni investimenti possibili (desunti dal Corso di super specializzazione di Coppia tenuto alla SIPRe di Milano nel 2011) da parte della coppia verso il figlio che andranno certamente a determinare, insieme ad altre variabili, quelle che la Fivaz definisce alleanze famigliari. Ritengo utile una simile classificazione, che non ha certo la pretesa di risultare esaustiva, anche in ordine ad una diagnosi funzionale della famiglia.
- Il figlio è concepito e vissuto come un ideale: è un livello molto profondo che ricapitola l’innamoramento ormai perso verso il partner senza che sia stato accettato e superato nel confronto duale interno alla coppia. Rimane quindi il “desiderio” di avere una risposta dall’altro alle proprie esigenze e il figlio diventa quello che deve dare risposta a questa attesa.
- Il figlio è concepito e vissuto come alternativa al coniuge: ad un livello meno profondo del precedente, quando determinati sentimenti, affetti o desideri non sono corrisposti dal coniuge, il figlio diviene facilmente il sostituto del partner nel senso che in lui verrà cercata la risposta desiderata o assolutizzata. In questo caso il figlio è investito di un potere alternativo e a volte sostitutivo.
- Il figlio è concepito e vissuto come compensazione della crisi tra i coniugi: quando i partner “colgono” che il loro rapporto è bloccato allora è facile pensare a un figlio quale fonte di nuovi stimoli nell’illusione del superamento della crisi. In questo senso il nascituro viene investito di un potere salvifico.
- Il figlio è concepito e vissuto come ostacolo al rapporto di coppia: il figlio è senz’altro espressione del desiderio ma in questo caso viene negato a vantaggio del rapporto con il partner. Il rapporto con il partner va sempre più configurandosi come assolutizzato e quindi intoccabile e inamovibile. In quest’ottica il figlio viene investito di un significato negativo.
- Il figlio è concepito e vissuto come stimolo per andare oltre il duale di coppia: l’esito del divenire nel rapporto di coppia è appropriarsi del proprio investimento (io ti amo per quello che sei e tu mi ami per quello che sono). A quel punto, più o meno raggiunto, può diventare un bene per entrambi confrontarsi e mettersi alla prova nel loro amore dedicandosi a un terzo rappresentato dal figlio. Un confronto stimolante e arricchente di crescita. In questo contesto il figlio viene investito come Io-soggetto a se stante e autonomo e sarà libero di andare per la sua strada, innamorarsi a sua volta andando oltre, elaborandolo, il suo “essere il rapporto tra i suoi genitori”. Tale processo ha nella famiglia uno specifico che deve essere approfondito e meglio compreso.
* Paolo Milanesi, psicologo, psicoanalista della SIPRe e dell’IFPS, è direttore del Centro SIPRe di Milano. Via Puccini 18, Cormano (MI).
Bibliografia
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